Persi tra le nevi in Patagonia
L’organizzazione del mio viaggio in Patagonia è stata complessa e frenetica… avevo pochissimo tempo a disposizione per decidere le tappe, organizzare gli spostamenti e prenotare tutto. Solitamente adoro leggere guide, blog e diari di viaggio e farmi un’idea che poi poco alla volta approfondisco, finché il viaggio nella sua veste finale prende forma, ma in questo caso avevo troppo poco tempo a disposizione ed è così che mi sono rivolta a Flyboy, un mio caro amico viaggiatore.
Flyboy ha girato tutto il mondo. Conosce tutte le destinazioni, turistiche e non, ma quello in cui è veramente imbattibile è l’aviazione civile! E’ sufficiente nominargli una destinazione e lui sa dirvi come si chiama l’aeroporto, a che distanza è dalla città, quali sono le principali compagnie che servono la tratta, a che ora prenotare il vostro volo e quanto durerà il viaggio. E’ un vero mito! Quando ho qualche dubbio, chiedo a lui e vado sul sicuro!
Il consiglio di Flyboy è stato: “non fare troppo affidamento sui trasporti locali, tieniti sempre un ampio margine”. Mai profezia fu più azzeccata… forse Flyboy me l’ha un po’ gufata, fatto sta che questa è la storia di quando ci siamo persi per le nevi della Patagonia per andare da Ushuaia a El Calafate passando per Buenos Aires.
Dunque via, il nostro viaggio era cominciato da qualche giorno e la Patagonia ci stava piacendo tantissimo. Quel giorno, dopo un’abbondante colazione alle Cabanas Aldea Nevada, ci siamo avviati con tutta calma verso l’aeroporto di Ushuaia dove in tarda mattinata ci aspettava il volo di collegamento verso El Calafate.
Arriviamo all’aeroporto e ci dirigiamo subito al banco check-in dove ci comunicano che al momento sono previsti ritardi per un guasto alla torre di controllo, sperano di farci partire al più presto. “Aveva ragione Flyboy” penso subito! “Ho fatto bene a prevedere un giorno in più a El Calafate, qui va a finire che arriviamo stasera!” Ci fanno comunque completare il check-in e ci chiedono di attendere future comunicazioni. Dopo poco ci richiamano, comunicandoci che l’aeroporto è chiuso.
Abbiamo 2 possibilità: la prima è prendere un pullman, già pronto fuori dall’aeroporto, che ci porterà al “vicino aeroporto di Rio Grande”, da lì prendere un volo per Buenos Aires e poi un altro volo per El Calafate domani mattina.
“Ok, ragazzi, non scherziamo. Qual è l’altra soluzione?”
La seconda soluzione è tornarsene a casa e poi ritornare in aeroporto domani per provare a prendere il volo della mattina, sempre sperando che l’aeroporto nel frattempo abbia riaperto, ma nessuno lo garantisce.
Ah, bene! Dunque la scelta è: butto un giorno alle ortiche, per spostarmi da Ushuaia a El Calafate passando per il polo nord oppure sfrutto un giorno in più a Ushuaia rischiando di rimanerci poi per una settimana intera? Venitemi a prendereeeee!
In quel momento ho visto il Perito Moreno che mi faceva ciao-ciao con la manina. Avevo prenotato 3 notti al El Calafate, in ogni caso la prima ormai era persa, ne rimanevano 2 prima del volo interno già prenotato per tornare a Buenos Aires. Se avessimo scelto di tentare la sorte e poi la sorte ci fosse stata avversa, non avremmo avuto il tempo per visitare il ghiacciaio più spettacolare del mondo, il vero motivo per cui ero venuta in Patagonia. Non me la sentivo di rischiare, anche perché quanto a “fortuna” qualcosa mi diceva che non eravamo proprio messi bene e così abbiamo accettato il passaggio al “vicino aeroporto di Rio Grande”. Ma quanto è vicino questo Rio Grande? Un paio di orette – qualcuno ha risposto – ok? Ok!
Con agile mossa l’addetto al check-in ci ha restituito le valige passandocele da sopra al bancone e siamo quasi corsi fuori perché il pullman era già pronto e aspettava solo noi per percorrere le 2 ore che ci separavano dal “vicino aeroporto di Rio Grande” dove un aereo ci stava già attendendo. In quel momento ho pensato: “va che organizzazione ‘sti Argentini! Noi in Italia, un’organizzazione così ce la sogniamo!”
Appena saliti a bordo il pullman è partito, abbiamo detto addio a Ushuaia dal finestrino e ci siamo inerpicati su per le montagne che racchiudono questo luogo incantato. Dopo aver lasciato il centro abitato, ha iniziato a nevicare. Il pullman procedeva in un paesaggio montano che via via diventava sempre più bianco. Oooh, che bella la Patagonia! Abbiamo fatto bene a venirci a Maggio, fuori stagione!
Tutti gli altri passeggeri, come noi, ammiravano estasiati il panorama che ci passava davanti agli occhi.
Sempre più bianco.
Beh, dai, almeno possiamo vedere un’altra zona della Patagonia che altrimenti ci saremmo persi.
Sempre più bianco.
Guarda quella cima innevata, che bel quadretto.
Tutto bianco.
A un certo punto, finite le montagne, ci siamo ritrovati immersi nel bianco. Tutt’intorno a noi c’era solo neve. Niente montagne o case. Nessuna sagoma riconoscibile. Solo bianco, ovunque. Gli sguardi dei tizi intorni a me si sono fatti un po’ meno luminosi. Li ho osservati per un po’ prima di accorgermi che… saranno mica preoccupati? Aiuto, ma dove ci stanno portando? Siamo finiti nel mezzo di una tormenta?
Guardo preoccupata l’autista, un paio di file avanti a me. Effettivamente pare un po’ indaffarato! Tutto piegato in avanti, con la faccia quasi appicciata al vetro, per cercare di vedere qualcosa in quello che a me pare un muro bianco. A quel punto inizio a pensare che forse sarebbe stato meglio restarsene a Ushuaia, ma chi cavolo me l’ha fatto fare di salire su questa carretta scassata, per affrontare la bufera del secolo? Già vedevo i titoli dei quotidiani italiani: “Pullman precipita da un dirupo in Argentina. Dispersa una rana italiana”.
Oddio oddio oddiooooo! Non voglio morire!
Poi, mentre stanno per scendermi delle lacrime e i miei capelli iniziano a sparare dritti per l’adrenalina, vedo che l’autista raccoglie uno straccio e inizia a pulire il parabrezza, completamente appannato e… ma… ma quella è la strada! Ma… ma allora non siamo stati risucchiati in un vortice bianco, allora …allora ero solo un vetro appannato?
L’immagine delle prime pagine dei quotidiani si dissolve e al suo posto compare un enorme macigno che mi casca in testa! Ma quanto posso essere fessa? Ahh, tiro un felicissimo sospiro di sollievo e mi rilasso.
A volte sono veramente una deficiente, mi perdo in un bicchier d’acqua, per fortuna che l’autista è un tipo sveglio!
Peccato che dopo 2 minuti il vetro è di nuovo tutto appannato, il povero autista riprende lo straccio e pulisce tutto, mentre non molla il volante e continua a procedere incurante. Altri 2 minuti e la scena si ripete. Prende lo straccio, alza il popo’ dal sedile, strofina bene, si risiede, straccio, si alza, strofina, si siede, hop, hop, hop, hop, un, due, tre, e quattro. Inizia anche un po’ a sudare, sto poveraccio, per la fatica che sta facendo o per la preoccupazione di sbandare e combinare un casino?
Un tizio, accanto a lui, si alza e gli da una mano e così l’autista riprende a guidare normalmente, il tizio gli passa lo straccio sul parabrezza ogni 2 minuti, mentre i tergicristalli non si fermano un attimo e fuori nevica a più non posso. Tutti i passeggeri del pullman osservano la scena. Nell’aria si percepisce un filo sottile di tensione. Nessuno osa dire una parola. Sono tutti concentrati in questa complessa sequenza di movimenti. Tutti rapiti da questa scena. Tutti, tranne me. Io ho un problema più urgente in questo momento e non ho la minima idea di come risolverlo. Io DEVO ANDARE IN BAGNOOOOO! Aiuto! Non ce la faccio più!
Dopo un po’ iniziano anche dei dolori allucinanti alla pancia, non la tengo più! Oddio mi sto per pisciare addosso! Ma sto Rio Grande dove cavolo è? NON DOVEVA ESSERE VICINO???
Ormai sono più di due ore che siamo partiti, dovremmo quasi essere arrivati! Concentrati Frida! Inspira-espira-inspira-espira! Vi assicuro che quello è stato il quarto d’ora più brutto della mia vita!
Poi l’autista mette la freccia! Ohhh, siamo arrivati! Per fortuna! Siiii!!!! Devo scendere, fatemi scendere, prima io! Prima io! Ma… ma l’aeroporto dov’è? Quella davanti a me ha tutta l’aria di una stazione di servizio, nessuna pista di decollo o atterraggio, nessuna torre di controllo, solo un piccolo baracchino e un parcheggio pieno di macchine e di gente messa forse peggio di noi. Paiono tutti dei sopravvissuti! Mi piacerebbe capire meglio cosa cavolo ci facciamo qui, ma se non mi fiondo in bagno temo che potrei morire. Manco a dirlo, nel bagno delle donne c’è una coda che neanche al concerto di Madonna. Come faccio a chiedere di passare davanti? Non posso. Dai ormai ci siamo, aspetta tranquilla. Inspira-espira.
Tanto per la cronaca, alla fine, non sono morta!
Tornata al pullman, scopro che siamo a metà strada dall’aeroporto: o a Ushuaia sono stati ottimisti coi tempi oppure sta bufera ci ha un po’ rallentati, molto probabile che siano entrambe le cose. Nel piazzale della stazione di servizio la gente vaga perplessa. Dopo un panino veloce, rimontiamo sul pullman e riprendiamo la nostra marcia della speranza mentre fuori il tempo non dà cenni di schiarite. Questa zona della Patagonia che avremmo dovuto scoprire, in realtà nei miei ricordi è un bel muro bianco.
Dopo poco, iniziamo tutti a chiederci se ci sarà ancora un aereo ad attenderci… ci stiamo mettendo il doppio del tempo che avevamo stimato. E se rimanessimo bloccati a Rio Grande? Che poi: dove cavolo è sto Rio Grande???
A un certo punto l’autista riceve una telefonata. E’ tutto trafelato, cerca di spiegare dove siamo, che stiamo arrivando, che è in mezzo alla tormenta e un povero tizio gli sta facendo da tergicristallo interno. Nella mia testa mi figuro il pilota dell’aereo, pronto sulla pista, col cellulare in mano a dare una mossa all’autista del pullman che gli sta facendo fare tardi.
Sta diventando tutto un po’ grottesco. Mi scappa quasi da ridere. A tratti è una risatina un po’ isterica, ma alla fine siamo al Fin del Mundo… che me frega a me se perdo l’aereo o se mi perdo tra le nevi e non ho la più pallida idea di dove mi trovo ora? Da vecchia avrò qualcosa da raccontare ai miei nipoti.
E quando più nessuno ci sperava, ecco spuntare davanti a noi il “vicinissimo aeroporto di Rio Grande”, iniziavo a credere che fosse una leggenda e invece: esiste davvero!
In fretta e furia attraversiamo l’aeroporto, ci ficcano in mano una carta d’imbarco, non mi accorgo neanche di dove vanno a finire i miei bagagli e finalmente saliamo a bordo dove altri passeggeri ci stavano aspettando e ci accolgono con un affettuosissimo grugno. Da qui ci aspettano solo altre 4 ore fino a Buenos Aires, una notte passata in ostello e l’indomani 2 voli: il primo fino a Valdes e il secondo fino, finalmente, a El Calafate. A Ushuaia si erano dimenticati di dircela questa tappa intermedia, ma che vuoi che sia sto dettaglio dopo il giro dell’oca che ci hanno fatto fare in lungo e in largo per tutto il continente?
Quando arriviamo a El Calafate quasi non ci crediamo. Ce l’abbiamo fatta! Siamo degli eroi!
E anche se alla fine, tutto sommato, non è stata poi una grandissima fatica, El Calafate e il trekking sul Perito Moreno ce li siamo proprio guadagnati. E’ stata una conquista. Una tappa che volevamo fare nostra. E anche grazie a questo piccolo incidente di percorso, ce la siamo goduta ancor di più. Ma questa è un’altra storia.
05/04/2019 @ 20:47
Madonna quanto mi è piaciuto il tuo racconto. Anche per come scrivi, simpatica, ironica…insomma brava!
26/04/2019 @ 15:18
Ciao paolo! Grazie mille! Mi fa piacere ti sia piaciuto questo racconto! Se vuoi, nel blog ne trovi altri su questo genere 😛
11/03/2017 @ 17:05
Che avventura! Wow
Il mantra “non fare troppo affidamento sui trasporti locali, tieniti sempre un ampio margine” mi sa che non vale solo per la Patagonia 🙂
14/03/2017 @ 8:11
In effetti è vero, vale anche da altri parti… ma soprattutto in Patagonia! 🙂
04/03/2016 @ 0:14
Frida! Ahah quando l’autista ha iniziato a pulire col panno mi sono troppo immaginato la scena…tipo tutti quanti voi passeggeri con la gocciolina stile manga!
Alla fine sana e salva dai, le migliori storie sono queste ihih 😀
06/03/2016 @ 19:59
D’accordissimo! Sono veramente le storie migliori da raccontare e soprattutto sono episodi di viaggio che non dimenticherò mai!